palazzi di sabbia

Ambasciatori sospesi,

(ex) senatori latitanti,

(ex,?) presidenti del consiglio “in prova”.

Segue lungo elenco.

E da mesi, da anni, da sempre si pensa alle ri-forme.

Ottimo argomento pour parler.

(L’importante è continuare a ignorare la sostanza)

 

 

 

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voting review

A maggio si vota per le Europee. E, ancora una volta, ben pochi sono i temi “europei” al centro della campagna elettorale di una tornata di voto destinata a fare da test interno, una sorta di super sondaggio. Un banco di prova in vista delle prossime elezioni politiche. Più che mai prossime. Giusto il tempo di approvare la nuova legge elettorale, salvo prolungamenti per “miracolosi” accordi costituenti. Alquanto improbabili (e, in ogni caso, dettati da fini non troppo nobili). Così, ragionando in prospettiva e valutando le alternative in campo oggi, viene da chiedersi: chi ci rappresenta? E, soprattutto, siamo pronti a un sistema bipolare che spinge verso il bipartitismo? Se la prima domanda mi lascia, personalmente, piuttosto sconfortato, pure la seconda non dà miglior esito. Senza voler entrare in perigliose analisi tecniche, mi sembra che voler cucire addosso ad una società iperframmentata un vestito così stretto sia assai incauto. Nella migliore delle ipotesi si spalanca la strada all’astensionismo, nella peggiore, beh meglio non evocare nemmeno tale scenario. Tertium non datur? No, schede bianche (“per non sporcare”), nulle o nemmeno ritirate a parte, rimane il classico rimedio dell’issue voting. E qui scatta il problema: tra tanti problemi, quale? Già, perché una delle conseguenze del bipartitismo spinto pare proprio quella del ritorno al partito arlecchino, che sostiene tutto e il contrario di tutto, senza (più) nemmeno una parvenza di ideologia a mo’, diciamo, di cripto-legenda. Per salvare quel che resta dell’idea di rappresentatività, duramente colpita da supersoglie, nomine verticistiche, leaderismo e quant’altro ci ha offerto lo spettacolo tragicocomico (vedi alla voce: comici che si fanno politici, e viceversa), non resta che sperare che il Senato “morituro” (?) faccia il miracolo e migliori, radicalmente, la Legge. Quella elettorale. Definita, a buona ragione, “di rango costituzionale”, visto che tutto comincia da lì. Così, per effetto della auspicata navette per auspicate migliorie, si slitterebbe in altre “finestre elettorali”, consentendo ai futuri (si spera non troppo prossimi) elettori di meditare su chi votare. E agli eletti/eligendi da chi (in nome, cioè, di quale Idea, roba ben diversa dagli slogan pubblicitari), e come, essere (ri)votati.  Una scelta di chiarezza che sarebbe, se realizzata, la prima e più importante riforma strutturale, perché solo la condivisione di ideali, ovvero di temi prioritari da affrontare e possibilmente risolvere, e non l’opportunismo foriero di temporanee convergenze, può consentire di svuotare i populismi e di fare quel passo in avanti la cui direzione dipende dalle diverse sensibilità politiche. Altrimenti il rischio è quello di perpetuare lo schema del “governissimo”, ma ad un prezzo molto alto: quello di riesumare l’idea di “interesse superiore della Nazione”, con tutte le sue conseguenze. E dal bipartitismo al Partito (uno) il passo (indietro) è breve eppure infinito.

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passato imperfetto

“La prossima partita si gioca in Ucraina. Per Putin quello non è nemmeno uno Stato, ma un insieme di territori eterogenei di cui alcuni a suo tempo ceduti da Mosca in prestito con diritto di riscatto. A cominciare dalla strategica Crimea, non meno russofila di Abkhazia e Ossezia del Sud, offerta in comodato nel 1954 da Krusciov all’Ucraina sovietica. Se Kiev vorrà entrare nella Nato [o nell’UE], ha lasciato intendere Putin durante l’ultimo vertice atlantico, lo farà senza le sue regioni “russe”.

Un breve estratto da un interessante articolo di analisi delle notizie internazionali di oggi, 27 agosto 2008.

Già, il viaggio nel tempo è una realtà, in politica. Il guaio è che quasi sempre si tratta di un brusco ritorno al passato. Che poi non è mai stato realmente tale, semmai un presente intermittente.

La Russia è il più grande Paese del mondo, per tradizione tende a ricondurre gli Stati vicini e neutrali alla propria influenza, realizzando di fatto un’occupazione che può assumere forme diverse. […] Soccombere alla politica dell’appeasement e delle concessioni, nel segno di un presunto pacifismo, che in realtà è solo incapacità di denunciare e arginare il male, è uno dei pericoli maggiori che corre oggi l’Occidente.” 

Parole attualissime, di un Grande della Storia.

Corriere della Sera, 22 novembre 2008. Intervista a Vaclav Havel.

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Piove. Anzi, diluvia. Governo…

Da Est soffia un “levante” preoccupante.

Nuvole in viaggio che non recano presagi di “alti Eldoradi”.

 

Balaustrata di brezza

per appoggiare stasera

la mia malinconia.

 

(“Domani è un altro giorno”)

Pubblicato il da Gio | Lascia un commento

incapacità di agire

La sentenza di ieri della Corte costituzionale ha, inter alia, definitivamente accertato lo scadimento qualitativo della classe politica, incapace financo di rimediare ai propri errori più macroscopici, anzi, alle proprie “porcate”. Dopo mesi di ripetuti “inviti” a intervenire sulla legge elettorale, costantemente disattesi, ecco che alla Consulta non è rimasto altro che prendere atto della “incapacità di agire” (in senso tecnico) del legislatore e, conseguentemente, essa ha assunto il ruolo di tutore (della legalità costituzionale). Ciò che invero lascia più sgomenti non è tanto la discussa “illegittimità” degli eletti, quanto l’ormai conclamata mancanza delle basi tecnico-giuridiche minime di gran parte di loro, includendo tra questi molti “ex” ma anche molti neofiti che sembrano mascherare la pochezza di contenuti con gesti eclatanti. Il risultato di tutto ciò è che da molti anni la qualità normativa è scaduta a livelli da semi-analfabetismo giuridico; a posteriori, il pervicace tentativo di riforma (rectius: stravolgimento) della seconda parte della Carta – forse definitivamente sventato – potrebbe oggi essere letto, in chiave psicologica, come maldestro tentativo di superamento di un (inconscio, beninteso) complesso di inferiorità rispetto al ruolo cui si è chiamati. In ogni caso, la sentenza di ieri conferma, una volta di più, come ormai sia fondamentale valorizzare il professionismo della politica: appare cioè necessario che chi aspiri, a prescindere dall’orientamento ideologico, al ruolo di Legislatore abbia nel proprio bagaglio quelle competenze tecniche che gli consentano di svolgere al meglio il proprio compito (il più nobile e arduo), cioè di agire con cognizione di causa. Non capire questo, o (forse) far finta di non capirlo, vuol dire abdicare al principio della rappresentanza politica, che si fonda sull’idea che i rappresentanti siano tali perché competenti cioè conoscano gli strumenti per portare avanti le istanze dei rappresentati, a favore di un tecnicismo che, per quanto orientato al “problem-solving“, non può che avere per sua natura uno sguardo limitato all’emergenza contingente, non potendo in alcun modo sostituire la politica, dal momento che essa richiede il “talento”, debitamente coltivato, di saper governare con lungimiranza. E ciò diventa appunto possibile quando si sa quello che si fa (o si vorrebbe fare, magari diversamente), avendo dunque contezza, con diversi angoli visuali, della materia su cui si interviene. Se così fosse, anziché vagheggiare un “copia-e-incolla” del semipresidenzialismo, a proposito delle sempre millantate riforme strutturali, ci si potrebbe finalmente accorgere dell’indubbio vantaggio di avere “centri di preparazione” (sulla falsariga magari della celeberrima “Ecole Nationale d’Administration” francese) per il mestiere più difficile, quello del Politico, il cui compito può essere riassunto magistralmente dalle parole di Cremete: humani nihil a me alienum puto.       

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