A maggio si vota per le Europee. E, ancora una volta, ben pochi sono i temi “europei” al centro della campagna elettorale di una tornata di voto destinata a fare da test interno, una sorta di super sondaggio. Un banco di prova in vista delle prossime elezioni politiche. Più che mai prossime. Giusto il tempo di approvare la nuova legge elettorale, salvo prolungamenti per “miracolosi” accordi costituenti. Alquanto improbabili (e, in ogni caso, dettati da fini non troppo nobili). Così, ragionando in prospettiva e valutando le alternative in campo oggi, viene da chiedersi: chi ci rappresenta? E, soprattutto, siamo pronti a un sistema bipolare che spinge verso il bipartitismo? Se la prima domanda mi lascia, personalmente, piuttosto sconfortato, pure la seconda non dà miglior esito. Senza voler entrare in perigliose analisi tecniche, mi sembra che voler cucire addosso ad una società iperframmentata un vestito così stretto sia assai incauto. Nella migliore delle ipotesi si spalanca la strada all’astensionismo, nella peggiore, beh meglio non evocare nemmeno tale scenario. Tertium non datur? No, schede bianche (“per non sporcare”), nulle o nemmeno ritirate a parte, rimane il classico rimedio dell’issue voting. E qui scatta il problema: tra tanti problemi, quale? Già, perché una delle conseguenze del bipartitismo spinto pare proprio quella del ritorno al partito arlecchino, che sostiene tutto e il contrario di tutto, senza (più) nemmeno una parvenza di ideologia a mo’, diciamo, di cripto-legenda. Per salvare quel che resta dell’idea di rappresentatività, duramente colpita da supersoglie, nomine verticistiche, leaderismo e quant’altro ci ha offerto lo spettacolo tragicocomico (vedi alla voce: comici che si fanno politici, e viceversa), non resta che sperare che il Senato “morituro” (?) faccia il miracolo e migliori, radicalmente, la Legge. Quella elettorale. Definita, a buona ragione, “di rango costituzionale”, visto che tutto comincia da lì. Così, per effetto della auspicata navette per auspicate migliorie, si slitterebbe in altre “finestre elettorali”, consentendo ai futuri (si spera non troppo prossimi) elettori di meditare su chi votare. E agli eletti/eligendi da chi (in nome, cioè, di quale Idea, roba ben diversa dagli slogan pubblicitari), e come, essere (ri)votati. Una scelta di chiarezza che sarebbe, se realizzata, la prima e più importante riforma strutturale, perché solo la condivisione di ideali, ovvero di temi prioritari da affrontare e possibilmente risolvere, e non l’opportunismo foriero di temporanee convergenze, può consentire di svuotare i populismi e di fare quel passo in avanti la cui direzione dipende dalle diverse sensibilità politiche. Altrimenti il rischio è quello di perpetuare lo schema del “governissimo”, ma ad un prezzo molto alto: quello di riesumare l’idea di “interesse superiore della Nazione”, con tutte le sue conseguenze. E dal bipartitismo al Partito (uno) il passo (indietro) è breve eppure infinito.
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